Federico Moroni. Insetti ed Orologi
a cura di Annamaria Bernucci
Casa del cinema Fulgor, piazzetta san Martino 28 aprile – 15 luglio 2018
«…insetto dal ronzo consueto, ronzo estivo, arpa agreste sui campi»
Federico Moroni
Sono gli orologi rotti e aperti che impudichi si offrono alla vista con le loro segrete interiora come un corpo che si sveli. Pronti a dichiarare con le loro carcasse in disuso la cessazione di una funzione e di un ruolo, esattamente come avrebbe potuto accadere nel lavoro ad “un funzionario austero e rigoroso vissuto tra il decoro e il timore”. Contengono tuttavia, quelle carcasse, la inconfessata gioia di meccanismi pronti a ripartire, autonomamente, sfidando ”gli autorevoli orologi che sono ovunque in carica e in funzione”.
Una particolare traduzione dell’illusiorietà e della transitorietà del tempo e della vita animata e inanimata destinata a perire. Federico Moroni coltiverà quella particolare amicizia per le cose semplici e per i luoghi di comune intimità, come quell’orto chiuso della casa di via Verdi a Santarcangelo, dove “si muoveva sotto ombre traballanti per disporre pietre randagie e mattoni rossastri attorno ai cespugli di menta e di rosmarino” come raccontava Tonino Guerra che in quell’orto si affacciava.
Sono gli oggetti polverosi e abbandonati, i barattoli di latta e le scarpe rotte, tutto quel “mondo sbrindolato e arrugginito di rottami, di rifiuti, di cocci..” che avvincerà anche il suo più giovane conterraneo Raffaello Baldini nel tener in vita la memoria delle cose più sfuggenti, destinate a sparire dal flusso della vita.
Moroni descrive un mondo ‘disinnescato’ da ansie e retoriche, cerca il gesto vero, devia dal realismo più ortodosso, sarà con la fantasia un sovversivo del reale, si farà esploratore solitario e con quelle sue chine bagnate ad acquerello che sfrutta per esecuzioni dal segno svelto e intenso ci farà partecipi di un mondo di funamboli, di ciclisti sul ciglio della strada, di suonatori di jazz dagli acuti lancinanti, del silenzio della terra e della spiaggia, dei fili d’erba e degli insetti.
Insetti amici dei travi odorosi, delle penombre, in stanze e cantine chiuse, insetti dei prati, della vendemmia, delle stalle. Il “mondo millenario dei campi col silenzio armonioso al ronzo di un insetto antico, inosservato, sempre esistente, fedele a suoi siti pomeridiani..” che una cicala dal corpo arrovesciato evoca nel tentativo di risollevarsi. Allusione a metamorfosi, come a un sogno inquieto.
Questo il suo mondo, schegge di memoria, tra l’odor di muffa dei robivecchi e la luce che filtra in un campo di grano.
Il disegno come sentimento vitale accompagnerà Federico Moroni per tutto il suo percorso d’artista e di maestro elementare. Eccitare l’immaginazione e investire la realtà dell’esistente nella traccia più spontanea e sensibile della matita e del pennello diverranno guida e insegnamento. Quella che è stata definita una “lezione di innocenza” che si propagava dall’aula scolastica e cresceva nelle carte e nella pittura di Moroni e dei suoi piccoli allievi è il racconto della vita e della natura che si riaffacciava dopo le ferite della guerra.
Inseguirà sempre una ricerca di libertà e leggerezza, coltivata sin da ragazzo, da quando nutrì il suo sogno artistico, méntore il falegname e inventore di storie Guido Guidi. Moroni la innesterà in quella prodigiosa convergenza di talenti e amicizie creatasi nel dopoguerra con e’ circal de giudèizi con Flavio Nicolini, Tonino Guerra, Lucio Bernardi, Giulio Turci e nel fecondo incontro col gruppo del Portolaccio, con il realismo esistenziale espresso da Renzo Vespignani, Marcello Muccini, Graziella Urbinati, a Santarcangelo tra il 1946 e il ’47.
“La nostra esperienza sensoriale comincia con la nostra vita” è l’indicazione e il filo conduttore che alimenta il suo Arte per nulla (poi il titolo divenne Arte per gioco, edito nel 1964) scritto con quella stessa scorrevolezza che va al passo con la sua pittura “pesando le parole ogni volta che gli è accaduto di prendere la penna in mano”, come sottolinea Leonardo Sinisgalli nella prefazione.
Le piccole mani ruvide avvezze ai campi degli alunni della scuola rurale del Bornaccino diverranno incredibilmente abili nel disegno, come quelle portentose di Severino Guidi, il più dotato di quelle classi; di contro quella stessa avventura pedagogica porterà Moroni a raccogliere inaspettati successi. I riconoscimenti, anche ministeriali, il viaggio negli Usa, nel 1953-54, la specializzazione nell’arte pittorica infantile alla Columbia University di New York, le pagine centrali su Life nel 1958 dedicate a quell’insegnamento d’avanguardia che faceva del gioco e della libera espressione il suo fondamento, gli incontri bolognesi con Giorgio Morandi, di cui contempla l’esempio, sin dal 1949, nello studio di via Fondazza; e poi, al ritorno dalle metropoli americane, in Romagna, con i compagni di sempre Giulio Turci e Lucio Bernardi, Moroni si disporrà a celebrare in pittura il mondo schivo del paese e il suo trascorrere lento e a diventare protagonista di una stagione irripetibile.