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Galileo Chini. Disegni dalla collezione familiare

Castel Sismondo piazza Malatesta, 23 aprile – 10 luglio 2016

 

Galileo Chini l’eclettico, il grafico, il pittore, il ceramista, il decoratore, l’inventore di stili seduttivi, tutore e credente della unione delle arti e dell’artigianato, del loro ruolo fondamentale della bellezza nella riqualificazione della vita quotidiana e dell’ambiente. Di questo artista che divenne precocemente tra i più pregnanti e alla moda nell’Italia pre-bellica, che volle abbracciare, negli anni dei fasti umbertini e delle sensibilità pucciniane, una modernizzazione della classicità e la sensibilizzazione verso un liberty internazionale, si propone una selezione di disegni, progetti e pensieri in forma di grafica provenienti dall’Archivio Chini di Borgo San Lorenzo.
L’etimo del termine decorazione riporta al concetto di pertinenza e parla di ciò che si dimostra appropriato, adeguato a una cosa, a una situazione o a un contesto. Condivide la stessa matrice semantica della parola Accordo.
Durante quel valico epocale, scandito dal passaggio tra Otto e Novecento, si scontrarono due atteggiamenti estetici intorno al tema di un’arte adeguata o impertinente, applicata alla vita vissuta o avulsa nella propria libertà, nella sfera di un pensiero utopistico ed estremo.
In tutta Europa il terreno della decorazione fu inteso al pari di uno spartiacque che, per alcuni sanciva la separazione definitiva dell’arte dall’artigianato, mentre altri sognavano un’eleganza diffusa fin nelle quotidiane necessità, da ritrovarsi in ogni luogo abitativo, in ogni oggetto che circondava l’esistenza umana. Due estremi estetici che divisero la strada delle avanguardie da quella tracciata dal Liberty e dal DecòChi rifiutava quell’accordo estetico, spinse verso il progressivo abbattimento di ogni limite, di ogni pertinenza, mentre le varie ‘secessioni europee’ celebravano l’apoteosi di un’arte totale, attraverso cui la grazia e il bello venivano diffusi e potevano divenire di uso comune.
Nel multiforme ingegno di Galileo Chini e nella fucina fiorentina di arti e mestieri si trovano concentrati i destini italiani di questa seconda e meno fortunata utopia.
Mentre a Vienna quel germe fiorì in un esteso e fertile politecnico, che contagiò numerose personalità attive in ogni campo delle cosiddette arti applicate, nel nostro paese queste figure rimasero piante isolate, seppure generose di frutti e di qualità. Forse solo passato il valico dell’Appennino, a Faenza e nel Cenacolo baccariniano, si trovò qualcosa di analogo.
Il disegno costituì per Galileo Chini il cardine intorno al quale ruotarono le sue differenti e impressionanti ramificazioni artistiche.
Questa mostra riminese non può che offrire un accenno rapsodico alla vulcanica energia creativa dell’artista fiorentino. Eppure si è voluta almeno questa presenza, così come nella prima edizione si volle quella di Domenico Baccarini, per presidiare una postazione di forte rilevanza storica, che purtroppo il corso del Novecento ha trascurato.

Massimo Pulini