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Disegno della Polvere

cura di Eleonora Frattarolo

Palazzo Gambalunga Galleria dell’Immagine-Chiostro-Sale Antiche via Gambalunga, 28 aprile – 15 luglio 2018

Il Disegno della Polvere, a cura di Eleonora Frattarolo, è una mostra su ciò che siamo stati e saremo, su ciò che ci avvolge impalpabile, esito di disgregazione e generatore di nuova vita.

Una mostra sulla polvere e le sue diverse sembianze, che sia sterile residuo di materia scomposta o aggregato molecolare genitore di corpi e sostanze, che sia continuum tra memoria e oblìo, nella dinamica olistica che connette la Terra al Cosmo, le polveri stellari agli aliti dei vegetali, piloti di pollini riproduttivi. La polvere “coperta del Tempo” che ammanta i corpi delle cose e li costringe con debole forza, la polvere che è frammezzo alla visione e annebbia i contorni della forma come in un sogno o un ricordo. La polvere in cui siamo immersi, humus vitale, o mortale, noi inconsapevoli, e la polvere che il contemporaneo adopera per fornire corpi effimeri alle opere d’arte e decretare la crisi dell’idea di “durata”. La mostra si estende nello storico Palazzo Gambalunga, nel cuore del centro storico di Rimini, a partire da due grandi sale che costituiscono la Galleria dell’Immagine, dove il visitatore inizierà a seguire gli andamenti del disegno della polvere con Vanni Spazzoli e le sue carte dipinte e disegnate,  partiture riempite da frammenti di alfabeti di segni e pittura gestuale , vortici di sintagmi codificati e sospesi nello spazio tra prossimità e disparizione. A seguire, Maria Elisabetta Novello, che interviene con un’opera site specific  la cui forza espressiva è opposta alla labilità del materiale usato, perchè  l’Artista impiega come sempre cenere di legnami differenti che il fuoco ha disgregato producendo residui dai colori diversi.   

Subito dopo, nel Chiostro, l’installazione di Gonzalo Borondo, sulla moltiplicazione ottica e cum-fusione della percezione di una figura femminile, disegnata su 12 grandi lastre di vetro, uno scenario della memoria tra delirio, illusione e sogno. Poi, nelle cinque splendide sale storiche al primo piano, dove è conservato il nucleo più antico della preziosa Biblioteca di Palazzo Gambalunga, ha inizio un viaggio conchiuso e serrato, nei territori di una dimensione poetica il cui incipit, rappresentativo di una numerosa “famiglia spirituale” di artisti, è scandito da alcuni sublimi acquerelli, disegni e incisioni di Giorgio Morandi. Le opere su carta dell’Artista bolognese, che fece della polvere soggetto iconografico intrinseco al tempo e allo spazio, vengono esposte nella magnifica Sala Des Vergers anche per testimoniare una “linea” della storia dell’arte che ha in Morandi uno straordinario protagonista, creatore di soluzioni visive ampiamente sviluppate dall’arte a noi contemporanea, come risulta evidente in questa stessa mostra. Di seguito, nel centro della seconda sala, l’installazione di Silvia Zagni, grandi vasi frantumati e dilaniati dal caos, crateri composti da ruggini trasmutate in lamelle oscure che assorbono l’essenza del ferro e lo riducono in polvere, mentre d’intorno, a ridosso delle pareti, le cartografie di Federico Murgia, disegni di innumerevoli punti  che nel posarsi e accumularsi evocano una sorta di rumore di fondo, frequenze cosmiche che marcano il tempo e l’ idea di durata. Nella terza sala, le superfici cosparse di polvere su cui Franco Pozzi inscrive con leggerezza indicibile segni al limite del visibile e della disparizione, desunti da alcuni acquerelli e disegni di Giorgio Morandi. Nella quarta sala, le fotografie di Raffaello Bassotto, reliquiari contenenti particole, frammenti, minuzie di corpi di Santi conservati in grandi magnifiche chiese. Opere d’arte orafa e decorativa, di ricamo, intaglio, intarsio, insiemi di architettura, storie, vite, rituali, che la fotografia fa rivivere illuminandone superfici e consistenze fabrili. Nella quinta sala, i lunghi rotuli disegnati col fumo di candela, di Raffaele Iacono, icone sapienti, antiche e concettuali, dove le fibre candide delle carte s’impregnano del nero vellutato, tremulo ed effimero, della lenta combustione dello stoppino e della cera, icone che guardano le sculture di Paolo Migliazza, collocate al centro del grande spazio, figure di adolescenti dagli occhi chiusi che sul nascere della giovinezza “sentono” il mondo e il suo peso, corpi già consapevoli di dolore, sfaldati e annichiliti nell’impasto della materia che li compone, polveri di carbone e paraffina, cemento, e terre, e pigmenti di ossidi.