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Delineavit. Guercino e il Caso del Falsario

a cura dia cura di Fausto Gozzi, Massimo Pulini e Giulio Zavatta

Museo della Città via Tonini 1, 28 aprile – 15 luglio 2018

 

Il disegno secondo Guercino di Massimo Pulini

Rilegando idealmente tutte le carte disegnate da Guercino si potrebbe comporre il più grande romanzo italiano del XVII secolo, un immenso libro che può tenere il passo di Rembrandt e di Cervantes. Un testo artistico, ovviamente, ma insieme storico, civile, mistico, comico e morale, capace di toccare i toni più aulici senza smarrire un briciolo di sincerità, così come parlare in lingua volgare senza abbandonarsi mai al sarcasmo o all’illustrazione di cronaca.

Sono giunti a noi, continuando a stupire nel loro costante riaffiorare, migliaia e migliaia di fogli eseguiti all’impronta, caratterizzati da una festosa curiosità e da un’attenzione vivida, prensile, che testimoniano l’inappagabile ricerca dell’artista e insieme il suo essere limpido, semplice e passionale.

Di quell’esperienza inventiva e pulsante, che è insita nell’atto di disegnare il mondo e la vita che lo anima, Giovan Francesco Barbieri restituisce un racconto aperto a scenari che prima di lui non esistevano.

Per il genio centese, la pittura si dimostra un atto pubblico, da affrontare con un linguaggio compiuto e un’orchestrazione disciplinata, il disegno è invece il campo dell’intimità e del moto spontaneo, il terreno entro cui esplorare l’incognito e misurare le idee, ma è soprattutto la casa famigliare nella quale, anche attraverso il segno, si può parlare in dialetto, nella lingua madre dell’infanzia e del paese.

Si trattava di un’azione che le fonti antiche ci dicono amasse fare in solitudine, mentre la pratica del pennello la conduceva necessariamente in bottega, nell’operoso laboratorio del mestiere. Eppure ci sono innumerevoli disegni che sembrano colti attraverso una tale rapidità di sguardo, che risulta difficile immaginarli lontani da quel che viene descritto. Non si tratta solo di un approccio convincente e franco della matita, della penna o del guazzo d’inchiostro, è la particolare sapidità espressiva, la sintesi di carattere e le infinite sfumature dell’affetto che rendono vere le sue carte e inimitabile il suo stile.

Per Guercino si può usare a ragion veduta il termine ormai convenzionale di “inimitabile”, proprio perché i suoi disegni hanno sopportato innumerevoli assalti, tentativi d’imitazione mai propriamente riusciti. Non solo da parte dei suoi diretti allievi, che per emulazione ne assimilarono aspetti tecnici, compositivi e formali, ma da una incalcolabile serie di seguaci che lo ammiravano e anche da un indecifrabile falsario che, per immaginabili interessi economici non privi di profonda stima, tentò di camuffarne il tratto.

Questa premeditata sostituzione di personalità, di controfigura artistica, costituisce un caso unico e molto precoce, avvenuto intorno alla metà del Settecento, quando la storia del collezionismo di disegni si poteva dire agli esordi.

La mostra di Rimini tenta una sintesi, tra un argomento vastissimo com’è quello del disegno di Giovan Francesco Barbieri e un tema molto specifico offerto dalla vicenda del suo falsario. In mezzo ci stanno esempi di bottega e di scuola, di collaboratori o nipoti, e altri legati alla fortuna, vale a dire alle considerevoli e talvolta nobili derivazioni calcografiche che certi incisori hanno prodotto a partire dai disegni di Guercino.

Entro la diramata rassegna della Biennale Disegno, seppur in forma di succinta antologia, non poteva mancare la presenza di un genio assoluto di questa espressione artistica, allo stesso tempo si è colta l’occasione per porre alcune riflessioni intorno al caso estremo e singolare del suo falsario.

Non è solo il passare dei secoli che assolve l’azione imitativa e truffaldina, che spinse in inganno collezionisti e perfino musei fino a tutto il XIX secolo, ma è anche la considerazione di una forma di moderna invenzione collegata a quella sistematica e ossessiva insistenza che il falsario mise in atto. Ha qualcosa che travalica la sua epoca anche questo mascherarsi, questo immedesimarsi in una calligrafia che permetteva all’ancora ignoto disegnatore di rivivere momenti analoghi a quelli trascorsi dallo stesso Guercino, quando con la cartella sotto braccio andava sull’argine del Reno a ritrarre i paesaggi distesi e scarni della pianura emiliana, quando si allontanava dalla compagnia delle persone, trasformandole in certe piccole presenze viandanti, in campo lungo.

Montagne di Disegni nella casa del Guercino a Bologna – L’Inventario di Casa Gennari del 1719 e la dispersione della collezione di Fausto Gozi

Per ogni artista i disegni sono un fatto privato, intimo e personale e ciò lo fu ancor di più per Guercino che ha conservato nella sua casa di Bologna montagne di disegni che erano uno strumento preziosissimo per il suo lavoro e per quello dei suoi famigliari, dal vecchio Benedetto Gennari Senior (1563-1610), col quale Guercino sedicenne condivise gli esordi, ai due nipoti, Cesare (1637-1688) e Benedetto Gennari Junior (1633-1715), che proseguirono con successo la professione nella stessa casa ereditata dallo zio.

Guercino non ha mai venduto i suoi disegni e l’ordine che teneva nella loro conservazione ci fa capire non solo l’aspetto pratico e l’utilità che questi fogli rappresentavano, ma anche il godimento e il piacere che lui stesso traeva dall’esercizio del disegno. Su questo aspetto della personalità di Guercino insistono molto anche i suoi biografi più antichi che sottolineano sempre la sua precocità e attitudine dimostrata già a otto anni, insomma una forza della natura che non trovò paragoni nella sua epoca. Sono emozionanti le lettere che l’anziano decano della pittura bolognese Ludovico

Carracci scrisse nel 1617 all’amico collezionista Ferrante Carli per informarlo della novità che c’era a Bologna nel campo dell’arte: “un giovane di patria di Cento che dipinge con tanta facilità d’invenzione, è gran disegnatore e felicissimo coloritore e mostro di natura è miracolo da far stupire”. E’ praticamente una dichiarazione d’amore, Carracci aveva visto nel giovane Guercino la continuazione più moderna della sua stessa arte.

Anche se notoriamente era difficile ottenere disegni da Guercino, non vuol dire che ciò era impossibile, soprattutto per quei committenti molto importanti coi quali il pittore era in rapporti professionali e a volte anche d’amicizia, come i cardinali Ludovico Ludovisi a Bologna, Jacopo Serra a Ferrara e il duca di Modena Francesco I d’Este. Oggi nel Teylers Museum di Haarlem ci sono oltre cento disegni di Guercino o comunque a lui attribuiti che provengono dalla collezione della regina Cristina di Svezia ed è molto probabile che alcuni di questi fogli fossero stati regalati alla regina dallo stesso Guercino, quando nel 1655 volle incontrare il pittore nella sua casa di Bologna. E’ evidente che ad un ospite come questo non potevano essere negati.

Già dopo la morte di Guercino, quindi molto prima dell’Inventario della Casa Gennari del 1719, anche i due nipoti Cesare e Benedetto Gennari, eredi nel 1666 dell’ingente patrimonio del Guercino, cominciarono a disfarsi di alcuni fogli dello zio famoso, non sappiamo se regalati per motivi professionali e di rappresentanza o venduti, come ad esempio quelli che possedeva Carlo Cesare Malvasia, l’autore della Felsina Pittrice stampata nel 1678, le cui notizie sul pittore gli vennero date proprio dai nipoti. Un altro eccezionale collezionista di disegni fu Sebastiano Resta (1635-1714) nella cui raccolta c’erano fogli bellissimi di Guercino comperati nel 1671 nel suo soggiorno a Bologna.

Un altro gruppo consistente di disegni di Guercino lasciò Casa Gennari fra il 1672 e il 1674, quando Cesare Gennari spedì al fratello Benedetto che si trovava a Parigi circa trentacinque fogli, parte dei quali si trovano oggi nella raccolta dei duchi di Devonshire a Chatsworth e altri figuravano nella collezione del pittore Sir Peter Lely (1618-1680), artista col quale Benedetto entrò in contatto durante il suo soggiorno prolungato a Londra. Con la morte di Benedetto Gennari nel 1715 che non aveva mai preso moglie, l’eredità passò ai due figli di Cesare Gennari, Gian Francesco (1671-1727) e Filippo Antonio (1677-1751) che non proseguirono l’attività artistica della famiglia e quindi iniziarono la dispersione di questa formidabile collezione di disegni. Attraverso l’atto che questi due pronipoti di Guercino sottoscrissero a Bologna il 31 Ottobre 1719 presso il notaio Camillo Canova, possiamo vedere la struttura delle proprietà della famiglia, come la grande casa nel centro storico di Bologna e il Casino di Campagna in località Belpoggio sulle colline fuori Porta Santo Stefano, ma soprattutto possiamo toccare con mano i beni mobili di quelle due case, come i quadri che la famiglia possedeva e soprattutto i disegni che ammontano ad oltre 5.700: oltre 2.800 di Guercino, oltre 1.600 di Cesare Gennari, 224 di Benedetto Gennari, 600 fogli sciolti entro cartelle di entrambi i nipoti, almeno altri 200 sempre di Guercino e dei nipoti incorniciati e appesi ai muri delle due case padronali e circa 300 disegni di autori antichi e contemporanei che formavano la collezione del Guercino. Sono numeri che lasciano esterrefatto chiunque e ci fanno capire ancor meglio l’importanza che Guercino assegnava al disegno e numericamente danno una spiegazione alla grande quantità di disegni di Guercino e a lui attribuiti che si trovano oggi nei musei del mondo. Solitamente si riteneva che Carlo Gennari (1716-1790), figlio di Giovan Francesco, fosse stato il maggiore responsabile delle vendite dei disegni, invece un ruolo considerevole l’ebbe anche suo padre Gian Francesco e pure lo zio Filippo Antonio, perche già nella prima metà del Settecento consistenti lotti di disegni vennero venduti, come i trecentocinquanta disegni di Guercino che erano nella collezione di Pierre Crozat (1665-1740) venduti poi nel 1741 in seguito alla sua morte, così pure il collezionista e grande conoscitore Jean Pierre Mariette (1694-1774) entrò in possesso di un numero elevato di disegni di Guercino, precisando che “Les Anglais sont passionnés pour les desseins du Guerchin” e cita proprio il collezionista William Kent che probabilmente fu uno dei primi ad acquistare disegni di Guercino nella Casa Gennari. Oggi la Royal Library nel Castello di Windsor possiede la più ricca collezione al mondo di disegni di Guercino e a lui attribuiti, sono oltre ottocento fogli che provengono dagli acquisti fatti da Richard Dalton (1715?-1791) bibliotecario di re Giorgio III nella Casa Gennari fra il 1758 e il 1763-’64, data in cui l’incisore Francesco Bartolozzi (1728-1815) si stabilisce a Londra proprio per incidere all’acquaforte questi disegni di Guercino appena comperati dal re. Bartolozzi non era nuovo a queste imprese perché in Italia, assieme a Giovanni Battista Piranesi (1720-1778), aveva già pubblicato un volume magnifico d’incisioni stampate con inchiostro rosso e nero che riproducono dei magnifici disegni di Guercino che si trovavano già presso collezionisti. A Londra la collaborazione Bartolozzi e Dalton produsse almeno due capolavori dell’editoria inglese stampati da John e Josiah Boydell, due grandi volumi d’incisioni, stampati in nero e seppia che sono dedicati ai tesori della collezione reale inglese e particolarmente ai disegni di Guercino comperati in Italia. Quest’operazione fu importantissima ed ottenne un buon successo editoriale perché servì a pubblicizzare e affinare il gusto dei nuovi collezionisti proprio in rapporto ai disegni di questo genio del Barocco. Negli anni Quaranta e particolarmente nel 1747, si concluse a favore di John Bouveri (1723ca.-1750) un’altra massiccia vendita di disegni provenienti sempre da Casa Gennari e questa volta grazie all’intermediario Francesco Forni, figlio di Antonio il più famoso mercante di disegni di Bologna. In questa occasione il collezionista inglese Bouveri acquistò da Forni bel dodici volumi di disegni provenienti da Casa Gennari che però non erano i libri già confezionati da Guercino e che vediamo descritti nell’Inventario 1719, ma erano degli album rielaborati, probabilemente dallo stesso Forni che preparava questa vendita, dove i disegni di Guercino erano applicati a nuove carte sulle quali erano stati disegnati passepartout tratteggiati all’inchiostro. C’è motivo di ritenere che questa cessione fu la più eccezionale e massiccia per qualità e quantità, perché agli inizi dell’Ottocento gli eredi della collezione Bouveri la misero all’asta a più riprese e i fogli più belli passarono nella collezione del conte di Gainsborough (1781-1866) e in parte in quella di Lord Northwick (1770-1859). Un altro consistente blocco di disegni provenienti sempre da Casa Gennari è stato identificato da Denis Mahon nella collezione di Reinhard Freiherr Koenig-Fachsenfeld a Schloss Fachsenfeld a Aalen nel Wurttemberg, sono soprattutto studi di drappeggi e di anatomie, soggetti che all’epoca erano certamente meno attraenti degli altri venduti in precedenza a Dalton e a Bouveri. Naturalmente non sono solo inglesi le collezioni più importanti dei disegni di Guercino, infatti è significativa per l’alto numero di fogli e la qualità la collezione del duca Saxe-Teschen (1738-1822) che si trova oggi all’Albertina di Vienna. Un altro fondamentale nucleo di disegni di Guercino si trova oggi all’Ashmolean Museum di Oxford dov’è confluita recentemente anche la ricchissima collezione di disegni di Guercino appartenuti a Denis Mahon al quale si devono anche gli studi più acuti su questo argomento. Com’è stato detto e questa mostra lo vuole scoprire, la grande richiesta di disegni di Guercino che ci fu nel XVIII secolo, indusse qualcuno a falsificare i disegni di Guercino, particolarmente i disegni di paesaggio, forse più facili da imitare e pur tuttavia, dopo gli studi approfonditi di Denis Mahon, Nicholas Turner e Prisco Bagni, in teoria, non si dovrebbe più sbagliare nel riconoscere il tratto magistrale di Guercino.

Il Falsario del Guercino di Giulio Zavatta

ben è vero che si è trovato, e si trova chi ha saputo imitarli a segno di rendere ingannati li dilettanti”

Un disegnatore di fine Settecento dotato di notevoli qualità tecniche e di una capacità imitativa straordinaria dedicò una parte della sua vita all’imitazione dello stile del Guercino, un famoso artista vissuto più di un secolo prima. Per oltre centocinquant’anni i suoi disegni a penna furono considerati opere autografe, mentre con il passare del tempo la vicenda, facendosi sempre più remota, stendeva un inesorabile velo di oblio sul suo nome. L’inganno venne scoperto solamente nel 1931 da Edith Hoffman, una studiosa ungherese la quale intuì che tra i disegni della collezione del principe Esterhàzy un gruppo di paesaggi attribuiti a Guercino erano in realtà copiati dalle incisioni di Jean Pesne tratte da originali di Giovan Francesco Barbieri nel 1678. La Hoffmann definì per la prima volta l’autore di questi fogli “Fälscher”, ovvero “Falsario”. Il termine fu utilizzato in seguito da Prisco Bagni nel dare alle stampe due volumi su questo artista conosciuto da allora come “Falsario del Guercino”. Gli studi di Denis Mahon e dello stesso Bagni hanno poi ulteriormente perfezionato l’identikit dell’ignoto plagiario, osservando che i suoi disegni non erano semplicemente tratti dalle incisioni di Pesne, ma anche dalla replica delle stesse eseguita da Ludovico Mattioli nel 1747, data da considerarsi termine post quem per i falsi Guercino di paesaggio.

In verità, nelle fonti antiche si trovava già traccia dell’attività di falsificazione dei disegni di Guercino, in particolare in una biografia dell’artista centese data alle stampe da Jacopo Calvi detto il Sordino (1740-1815) figurava un’esplicita menzione di queste “contraffazioni”. Dopo aver parlato dei disegni di Guercino, infatti, Calvi annotò: “ben è vero che si è trovato, e si trova chi ha saputo imitarli a segno di rendere ingannati li dilettanti; tuttavia l’avveduto conoscitore che attentamente osservi la grazia, la fierezza, le idee de’ volti, ed il chiaroscuro degl’originali, non così facilmente si lascierà prendere dall’ingegnosa imitazione di chi ha voluto contrafarli”. In un primo momento le indagini avevano comprensibilmente puntato i riflettori su Carlo Gennari, un lontano discendente del Guercino che, essendosi trovato ad ereditare migliaia di disegni del maestro centese, in breve volgere di anni li disperse vendendoli specie all’estero. Fu Zanotti, nel 1769, a puntare il dito contro di lui, quando scrisse: “non poco elegantemente copia in disegno le cose del Guercino”. L’accusa non ha però retto all’evidenza dei disegni: Mahon, individuando alcuni autografi di Carlo, notò che avevano uno stile molto diverso da quello dell’ancora misterioso falsario.

colla maggiore facilità e prontezza misesi, non dirò a copiare, ma a contraffare molti disegni, da me posseduti, di primo impeto, e ricercare originali del Guercino”

Dalla prima e pressoché coeva menzione di Sordino, uno dei pochi punti fermi sulla vicenda, è scaturito a margine di questa mostra un ulteriore filone di ingagine – ci si passi la metafora da detective – che ha permesso di individuare una figura di falsario di disegni, compresi quelli di Guercino, e di dare un nome quantomeno a un sospettato. Calvi riferisce infatti di un falsario ancora vivente e lo fa con un certo “affetto”: non viene espressa una condanna, si parla anzi di “ingegnosa imitazione”. Vagliando le conoscenze del Sordino, assai ramificate per il suo ruolo di spicco in seno all’Accademia Clementina, è emerso un caso molto sospetto, derivante dalla sua amicizia con l’artista veneziano Pietro Antonio Novelli (1729-1804).

Nelle lettere tra i due emerge uno speciale riguardo per il figlio di Novelli, Francesco (1767-1836). Nel 1787 Calvi scriveva all’amico: “ella fa ottimamente a tener molto esercitato nel disegno il valoroso suo sig. figlio e a fargli copiare disegni originali d’eccellenti maestri”. Tre anni dopo, addirittura, propone al collega di favorire il figlio per l’aggiudicazione di un premio in pittura. Ma Francesco Novelli, come dimostrerà la sua successiva carriera, non ebbe particolari doti pittoriche, e infatti non si aggiudicò mai quell’onoreficenza. Nell’autobiografia del padre Pietro Antonio, data alle stampe nel 1834, si apprendono ulteriori notizie che arricchiscono il quadro indiziario. Innanzitutto si ha conferma che egli collezionava disegni bolognesi, riconoscendo alla scuola felsinea la “specialissima facoltà di disegnar senza stento”. Proprio per questo acquisì da Francesco Gennari, un discendente di Guercino, un corposo nucleo di disegni: “…dipinsi un’Arianna sul lito, che abbandonata da Teseo disperatamente s’affligge […] e questa la feci per il signor Francesco Gennari di Bologna, parente di Gianfrancesco Barbieri, detto il Guercino da Cento, da cui feci l’acquisto di molti originali disegni dello stesso Guercino”. Ma i ricordi autobiografici riguardavano anche il figlio Francesco che cresceva nel mito della grafica bolognese, tanto che il padre ricorda: “aveva mio figlio in allora anni 7, e mostrava con la naturale inclinazione d’avere un gran gusto nel veder le opere dei Carracci, di Guido, del Guercino, e di tutti gl’insigni maestri di quella grande scuola, non potendosi trattenere di qualche cosa disegnare in così tenera età”. Col progredire dello studio si manifestarono le caratteristiche proprie di Francesco, che lo portarono a diventare un valido incisore di riproduzione: “proseguì intanto Francesco mio figlio ad inoltrarsi a gran passi sulla strada della invenzione, del disegno e del colorito […]. Ed essendo egli instancabile nell’esercizio del disegno, maneggiando con somma facilità e la penna e il lapis e l’acquarello, misesi a copiare molti disegni originali del Parmigianino […] ed apprendendo quel segnare tanto grazioso, inventò molte cose su quel gusto […] e ne furono raccolte in varie parti da chi va formano la serie più scelta d’eccellenti autori”. Fino a qui la questione sembra limitata al normale percorso di apprendistato che doveva avvenire facendo copia dagli schizzi dei grandi del passato. Tuttavia Novelli dichiara una particolare attitudine del figlio Francesco e cioè quella di appropriarsi del ductus di un artista, imitandone gli originali, ma anche sviluppando proprie invenzioni. Il fatto che molti suoi disegni fossero raccolti da chi formava “la serie più scelta d’eccellenti autori” non chiarisce se il giovane fosse già considerato un’eccellenza (peraltro, non essendolo) oppure se questi fogli fossero confusi con quelli degli autori antichi.

La questione si fa più chiara in seguito: “così avendo egli il possesso e la gran pratica del disegno, colla maggiore facilità e prontezza misesi, non dirò a copiare, ma a contraffare molti disegni, da me posseduti, di primo impeto, e ricercare originali del Guercino, di Guido e d’altri; e di queste sue cose ne fu fatta la profezia, che a’ tempi avvenire anderanno come originalissimi nelle collezioni più cospicue dei raccoglitori: e tutto ciò egli fece e fa senza mettersi in soggezione d’imitare i tratti ad uno ad uno, ma con mano libera s’investe dello spirito d’ogni autore”. Il padre dichiara dunque senza mezzi termini, e con un certo compiacimento, che Francesco era così bravo nel disegno da essere in grado di immedesimarsi nello stile dei grandi autori dei quali fece copia, e anzi si specializzò a “contraffare molti disegni” della sua collezione nella quale figuravano “molti originali disegni dello stesso Guercino”. Alla fine dell’Ottocento anche Francesco Novelli fu soggetto di una biografia curata da Giovan Battista Perini dove vengono messe in luce ancora una volta le sue capacità camaleontiche, con particolare riguardo per due serie di incisioni che egli trasse da originali di Rembrandt e da opere al tempo ritenute di Mantegna: “il Novelli [Francesco] meritava in fatto lode e conforto, non tanto per aver di subito cangiato maniera ne’ suoi intagli, quanto per essere in tutte e due le maniere da lui trattate riuscito a perfezione. Nella prima, cioè in quella di Rembrandt, richiedendosi grande effetto, gran macchia, tocchi risoluti, tagli incrocicchiati, e tutto all’acquaforte; nella seconda, in quella cioè del Mantegna, non effetto ma diligenza, non tocco risoluto ma castigato disegno, non tagli incrocicchiati, ma solo un contorno o taglio semplice, non all’acquaforte, bensì a bulino”.

di queste sue cose ne fu fatta la profezia, che a’ tempi avvenire anderanno come originalissimi nelle collezioni più cospicue dei raccoglitori”

A questo punto l’indagine, però, giunge in un vicolo cieco. Appurato delle capacità imitative, o meglio reinterpretative, di Francesco Novelli, e acquisita la fonte paterna, assai attendibile, che lo dice imitatore di disegni di Guercino che sarebbero stati in seguito ritenuti originali nelle più selezionate collezioni, ci si trova dinnanzi all’impossibilità di confronto per verificare se fu proprio la sua duttile mano a realizzare i disegni rubricati oggi come opera del falsario del Guercino. Pur disponendo di disegni originali del Barbieri e benché il mercato ricercasse con brama stampe derivate da autografi di Guercino, tra le centinaia di incisioni di Novelli non risultano soggetti tratti da originali del Centese utili per un confronto. È come se Francesco Novelli avesse accuratamente eliminato ogni possibilità di paragone con Guercino: un atteggiamento sospetto, ma non probante.

In definitiva, resta comunque il fatto che questo abile incisore fu anche un documentato falsario di disegni, soprattutto del Guercino. Aveva accesso a fogli originali, messi a disposizione dal padre, e la sua attività lo facilitava nel reperimento delle stampe che sono alla base di numerose “invenzioni” del falsario. Che si tratti del ben noto Guercino forger oggetto delle attenzioni di questa mostra non lo si può affermare con certezza: sulla base degli indizi raccolti non può essere considerato “colpevole” al di là di ogni ragionevole dubbio. Certamente, tuttavia, può apparire, allo stato attuale, come il sospettato con più indizi a carico perché la testimonianza del padre fa emergere esplicitamente e per la prima volta una intenzionale attività di plagio, attuata tra Bologna e Venezia alla fine del Settecento e perdurata probabilmente fino ai primi anni del secolo successivo, proprio negli stessi anni del misterioso falsario.