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Del Bianco e Lombardelli. Ombra mai fu

a cura di Massimo Pulini

Museo della Città via Tonini 128 aprile – 15 luglio 2018

 

Succhi per un Dejeuner sur l’herbe

In fondo la Pittura non è che un raffinato gioco di prestigio. La danza delle carte da ramino nelle mani di un illusionista è analoga a quella del pennello di certi artisti. Anche la qualità del segno si esprime in un’apparente distrazione sia sulla tela che sul palcoscenico. Ma se forse tutta la Pittura può dirsi una finzione, c’è uno specifico e dichiarato tema dell’inganno che si dipana come un filo rosso lungo l’intera storia dell’arte. Illusionismi prospettici o falsificazioni temporali, gare mimetiche con la natura e figure nascoste negli anfratti di un paesaggio, sono stilemi che spesso ricorrono nei dipinti di ogni secolo. Anche queste opere di Anna Maria Del Bianco e Stefano Lombardelli, questi succhi d’erba che giocano sul rovescio del tempo e dei generi, grazie a un magistrale mimetismo di tecniche riescono a compiere un gioco di prestigio e insieme a trasmettere un’ironia di prima statura. In gergo tecnico si chiamano succhi d’erba e, storicamente, lo stesso loro procedimento costituisce un alto esercizio di finzione. Parliamo di pitture realizzate su una particolare tela grezza, che imitavano, tra Sette e Ottocento, gli stilemi, l’aspetto e la funzione degli arazzi parietali. Realizzati con rapidi e determinati guazzi di pennello, con colori liquidi che smorzano di tono al primo assorbimento, in quella tela a larga trama, sembrano ricami antichi se solo si sta alla distanza di un passo e nacquero per offrire un risultato simile ai più nobili arazzi, abbattendone il costo e il tempo di esecuzione. Le grandi tele di Anna Maria e di Stefano giocano sapientemente con la grammatica decorativa di quei precedenti d’epoca, ma allo stesso tempo congegnano un ulteriore livello illusorio, elevando alla potenza l’inganno contenuto al loro interno.

Nelle pittoresche scene di boiserie, che fanno il verso all’Arcadia classicita, se non direttamente ai giardini dipinti ad encausto delle case pompeiane, sono in bella mostra alcune figure retoriche del mondo contemporaneo. Un labirintico scivolo in stile Mirabilandia si ritrova contornato di verzure, tra pagode cinesi e simboli mitologici. La gigantesca mano dalle dita mozzate che Maurizio Cattelan ha posto a sberleffo, davanti alla Borsa di Milano, si ritrova ora tra capre e pastori, entro le rovine di una via Appia da salotto. Sono alcuni esempi del raffinato cortocircuito temporale e formale operato da questo progetto artistico che, attraverso un carotaggio di generi e stili, di alfabeti simbolici e scarti di destinazione, riesce a cucire e a tenere legati mondi diversissimi tra loro, trovando anche la sintesi e la leggerezza di un aforisma filosofico.