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Silvio Canini. Umbratile

Testo a cura di Sabrina Foschini

Ospiti al Museo della Città via L. Tonini 1, 28 aprile – 15 luglio 2018

 

La bellezza non è immutabile, cambia insieme alla storia, si modifica e si espande in territori che un tempo le erano ostili. Il suo stesso concetto ha preso forme aliene che lo hanno spostato sempre più, verso l’esatto contrario e questa migrazione del bello nello sfacelo, la miseria, l’errore, la rottura, i disastri terribili, ma creativi del tempo, lo dobbiamo in gran parte alla fotografia.  La fotografia per prima ha denudato l’occhio dagli abbellimenti della mano, lo ha reso impietoso, si è innamorata dei nasi mozzati delle statue, del paesaggio devastato dall’industria, dei corpi offerti alla luce, senza mistero. Le immagini fotografiche di Silvio Canini per questo suo ulteriore lavoro sul mare, da grande innamorato che continua a bagnarsi nelle acque familiari dell’adriatico, sono sognanti, sospese e  carezzevoli, nella morbidezza di un bianco e nero senza contrasti taglienti. Eppure questa serie di fotografie, solcate dalle ombre, da cui prendono nome, nascono da una ferita della natura, sono generate da un abuso, da un danno. .. Le ombre che disegnano pennellate scure sulla sabbia, che delineano la spiaggia con larghe strisce intermittenti, come i tasti neri di un pianoforte,  sono quelle dei grandi edifici, gli alberghi spuntati a due passi dal mare, con le loro sagome incombenti che rubano il sole e cancellano il paesaggio. La scelta di Canini per “Umbratile”, dopo essersi concentrato negli scorsi anni sugli abitanti del mare, vero bacino domestico di un’ispirazione che sembra essere illimitata, ha virato nell’astrazione e nell’assenza. L’ombra “del mostro” che distingue le sue ultime opere, senza perdere una sottintesa inquietudine, risulta così estremamente seducente e l’affinità col disegno è rimarcata da alcune inquadrature dove la sabbia chiara è il foglio e le ombre scure, sono i segni della grafite, o della china di un gigante che intinge il pennello nel mare. L’arenile è solcato da segni decisi, a volte leggeri e acquosi, da geometrie ripetute o graffi irregolari. Vi sono bande di nero che cancellano a larghi tratti il nitore intonso della spiaggia, ricavano sottili spicchi di sole, quadrati bianchi in cui la luce sopravvive, piccoli fazzoletti di resistenza. Si dice che il disegno sia nato dall’ombra, da una sagoma ricalcata sul muro su cui la luce del fuoco l’aveva proiettata, ma in questo caso l’ombra disegna qualcosa di diverso, la poesia di uno sfregio, la bellezza che nasce da una negazione e va difesa e perseguita ad ogni costo, persino nel luogo in cui era stata negata.