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Sergei Tchoban. Capricci

a cura di Jan-philipp Fruehsorge

FAR Fabbrica Arte Rimini Piazza Cavour28 aprile – 15 luglio 2018

Fantasmagorie nello scorrere del tempoArchitetture-Capricci di Sergei Tchoban

Sergei Tchoban è un architetto, artista e collezionista di disegni architettonici. Nato a San Pietroburgo nel 1962, si è laureato lì in architettura e, negli anni Novanta, si è trasferito in Germania dove ora vive e lavora. Negli ultimi anni ha realizzato numerosi importanti progetti di costruzioni in Europa, è stato coeditore della rivista di architettura Speech e ha anche lavorato come curatore per il padiglione russo alla Biennale di Architettura di Venezia.

Il riferimento al fatto che Tchoban sia allo stesso tempo architetto e artista merita alcune parole di spiegazione: è noto che gli architetti disegnano, ma di solito lo fanno per formulare un progetto che è in realtà destinato a divenire un pezzo di architettura concretamente realizzata. Questo per lui è un po‘ diverso. „Disegno e architettura“, dice Tchoban, „sono due percorsi separati“: anche se hanno un nucleo comune e l‘architettura è il tema centrale del disegno, quest’ultimo è completamente privo di scopi, interessi e libero dai vincoli funzionali di un contratto di costruzione concreto. È arte che segue le sue proprie regole. Per Tchoban, il disegno è un campo da gioco in cui il tempo e lo spazio si uniscono in modo speciale, cioè il passato, il presente e il futuro dell‘architettura diventano per lui materia, producendo allo stesso modo immagini di pensieri e sogni. Uno sguardo fresco ed analitico si alterna all‘immersione emotiva in stati d‘animo e atmosfere. L‘architettura provoca sempre anche forti emozioni sia in senso positivo che negativo. Tchoban gioca virtuosamente con questa ambivalenza. Momenti utopistici e distopici, ma a volte anche un profondo senso dell‘umorismo sono incorporati nei disegni. La simultaneità onirica del non-simultaneo. Le città sono sempre tombe di storia, palinsesti costruiti, ma sempre il nucleo del nuovo, macchine in partenza. Davanti ai suoi disegni sembriamo testimoni di vedute post catastrofiche. Vediamo rovine, cupole rotte, monumenti di tempi lontani, gigantesche teste di Lenin e Stalin, che hanno subìto un nuovo utilizzo. E di nuovo ancora acqua e edifici allagati. San Pietroburgo, la città in cui Tchoban è cresciuto, si sviluppa sull‘acqua e qui i ricordi della sua infanzia possono aver giocato un ruolo. Ma sono anche i viaggi che ha fatto da adulto, che hanno alimentato la sua immaginazione, molto probabilmente l’esperienza della città lagunare, unica per bellezza, Venezia, ma soprattutto i villaggi russi inondati sul canale tra la Moskva e il Volga come imponenti fondali di transitorietà. I campanili delle chiese sorgono dalle inondazioni e testimoniano il destino di una comunità di abitanti del villaggio che una volta vivevano qui e dovevano lasciarsi alle spalle ogni bene quando arrivava un‘inondazione d‘acqua. Se i frammenti della magnifica architettura barocca sono su numerosi fogli di disegni, c’è anche una quantità di edifici sull’acqua di Tchoban, che ricorda il famoso palazzo degli anni venti di El Lissitzky “Wolkenbügel”. Ma ci vengono in mente anche i paesaggi inondati dei film del suo compatriota Andrej Tarkowsky. L’acqua è sempre riferimento ad un potere più alto, si può chiamarlo divino o dare un potere immanente alla natura. Il Diluvio dell’Antico Testamento ha avuto una funzione punitiva e ai sopravvissuti è stata data l’opportunità di un nuovo inizio per grazia di Dio. L’acqua è una potenza primaria, incontrollabile e con una forza distruttiva illimitata. Allo stesso tempo desideriamo ardentemente l’acqua perché è vitale e purificante, lenitiva e consolante. I suoi paesaggi sottomarini sono affascinanti e pieni di malinconia. Tchoban lancia sguardi frammentari sulla città, istantanee come schegge commemorative dense di atmosfere, enigmatiche e teatrali. I fogli sono precisi nella forma e gli edifici raffigurati sembrano tutti plausibili nella loro costruzione, anche se appartengono a una diversa sfera della realtà. Vengono utilizzate tecniche virtuosistiche classiche, ci sono disegni smaltati e lavorati con acquerello, pennarello, pastello, inchiostro, sanguigna o seppia.

Non solo a causa della tecnologia, l’arte del disegno di Sergei Tchoban sembra come caduta fuori dal tempo, essa nega allo spettatore contemporaneo il tipico gesto contemporaneo e si colloca così al di sopra di qualsiasi moda del “mainstream” estetico e della business art. Ha le sue radici in un vocabolario che collega la storia dell’arte con il “Capriccio”. La cosa interessante è che la domanda su cosa sia esattamente il Capriccio non può essere definita in modo inequivocabile dalla teoria sui generi artistici e si lascia altresì descrivere e definire in maniera sempre nuova. È un’esperienza “borderline” di immaginazione artistica, che investe il giocoso, il fantastico, il bizzarro e il capriccioso. Con il Capriccio classico da Callot a Piranesi, a Tiepolo e Goya, gli artisti del passato hanno creato immagini in cui prevale la fantasia sulle leggi della realtà, il sogno sullo stato di veglia. Il Capriccio è quindi più un principio artistico che può essere identificato con il soggettivo e il non categorizzabile. La mostra cerca di stabilire un dialogo tra le opere di Tchoban e alcune opere selezionate del passato: A. Fanti, Giulio Ferrari, Antonio

Basoli, Pietro Gonzaga così come con opere di scuola bolognese del XVIII secolo. Queste opere forniscono il tracciato storico davanti al quale i lavori attuali possono dispiegare le loro diverse motivazioni. Il rapporto tra interno ed esterno, il gioco con effetti di luce drammatica, prospettive raffinate e confuse – tutti

questi elementi si riferiscono al più famoso rappresentante del Capriccio architettonico, Giovanni Battista Piranesi. Le sue architetture, le carceri sono così moderne perché apparentemente

ci raccontano più di stati mentali anziché solo di scale e pareti. Aldous Huxley, attraverso il suo famoso saggio “Prigioni”, in cui con Piranesi ha ritratto le carceri, ha collegato queste oscure visioni architettoniche alla memoria della barbarie della Seconda Guerra Mondiale e all’esperienza disumana di Auschwitz.

Sono diventati così un emblema della modernità.

I disegni di Tchoban, ispirati a Piranesi, evocano certamente un lato oscuro di quest’epoca moderna, anche se l‘idioma formale non è quello dell‘architettura del dopoguerra. Le rovine diventano metafore delle macerie che il totalitarismo ha lasciato dietro di sé. Lo sfondo dell‘architettura della intimidazione diventa visibile nel vuoto pathos della monumentalità. Nonostante tutti i riferimenti all‘arte del 17° e 18° secolo, Tchoban gioca anche con i riferimenti alle più recenti architetture. Ad esempio, i pilastri monumentali nell‘acqua ricordano „Megabridge“ di Raimund Abraham (1965), in cui egli immagina una fusione tra macchina e architettura. Allo stesso tempo, potrebbe essere stato rappresentativo il modo in cui Adolph Loos, negli anni ‚20, ha assunto il motivo del pilastro per un edificio da uffici per il Chicago Tribune e lo ha assolutizzato nell‘ipertrofico. E anche Loos attinge ad un modello, la casa colonnata dell‘architetto rivoluzionario francese Francois Barbier, attorno al 1780. Le visioni disegnate da Tchoban ci mostrano che l‘architettura non può funzionare da sola se si manifesta in edifici reali. Per mezzo del disegno gli spettatori sono in grado di riflettere sul dramma del XX° secolo rispecchiato in scenari architettonici fantasticamente esagerati. La bellezza, la caducità e il potere dell‘immaginazione artistica fanno apparire il Capriccio come una forma assolutamente attuale.